Giobbe e l’enigma della sofferenza

Giobbe a Bresso: l’uomo di Uz, il dolore, la sofferenza….. il COVID, la malattia. Perché?

Nell’ambito degli eventi che caratterizzano l’annuale sagra della Madonna del Pilastrello quest’anno il Centro Culturale A. Manzoni ha proposto la mostra «C’É QUALCUNO CHE ASCOLTA IL MIO GRIDO? GIOBBE E L’ENIGMA DELLA SOFFERENZA». Curata da Ignacio Carbajosa, la mostra era stata presentata al Meeting di Rimini del 2018, ma il tema del perché del dolore, della sofferenza si ripropone oggi in modo drammatico mentre vediamo la pandemia di COVID 19 imperversare in tutto il mondo colpendo tantissimi uomini, donne, bambini  e, col passar del tempo, ci si ritrova sempre più  inermi, impotenti, smarriti, disorientati.

Già nella serata del primo ottobre don Isacco Pagani, in passato coadiutore al nostro oratorio San Giuseppe e attualmente docente di teologia al seminario di Venegono, intervenendo sul tema  «DATEMI QUALCUNO CHE MI ASCOLTI. DIO E L’UOMO ALLA PROVA», aveva invitato i numerosi convenuti  ad incontrare Giobbe partendo dalla propria storia personale, dalle preoccupazioni più urgenti: “ anch’io sono Giobbe.”

 Satana irrompe nella vita di Giobbe, uomo integro, retto timorato di Dio, con un  susseguirsi incalzante di circostanze che lo privano dei beni, dei figli, della salute. Tutto ciò  mette indubbiamente alla prova la sua fede ma sfida anche Dio stesso che   ha permesso a satana  di infierire sul  suo servo fedele.

Il Libro di Giobbe si sviluppa in 42 capitoli, ma solo nei primi due è  posta a tema la sua proverbiale  “pazienza” che gli fa dire: “Nudo uscii dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!”  E ancora: “Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?”

Sarebbe rassicurante pensare che a chi fa il bene, automaticamente venga il bene mentre a chi agisce male venga  il male. È quella che viene chiamata “teologia della retribuzione”. Ma la storia di Giobbe ci dice che non è così, dagli inizi dell’umanità fino all’oggi: la sofferenza,  il dolore e ancor più il dolore innocente, sono realtà che pretendono una giustificazione. E già nel terrzo capitolo si vede che Giobbe, non più paziente,  grida a Dio: “Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha amarezza del cuore? Dio è chiamato in giudizio, non  possono bastare delle spiegazioni teoriche, falsate,  quali sono quelle che forniscono gli amici di Giobbe.  Anche noi, come lui, abbiamo bisogno di essere ascoltati da qualcuno reale, presente, che interloquisca con noi, che ci spieghi il perché del nostro vivere e del nostro morire, che ci accompagni a leggere dentro il grande Mistero fino a riconoscere, contemplare, adorare la grande Presenza.

 Dio accetta la sfida, scende in campo, provoca, conduce Giobbe a guardare la realtà tutta intera, partendo dal principio. Finalmente, siamo ormai giunti al capitolo 42, Giobbe si arrende:  “Io Ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi Ti hanno veduto. Perciò mi ricredo e mi pentosi potrebbe tradurre con “sono consolato” –sopra polvere e cenere .”  Così don Isacco ha introdotto alla mostra. 

 Come altri amici, mi sono poi ritrovata a studiarne il catalogo, a riprendere il testo dei pannelli, a fare da guida. Suddivisa in sei step: il grido; gli amici; il tribunale; il dono; Gesù di Nazareth; i testimoni, la mostra si sviluppa in un susseguirsi di svolte e contro svolte. Segue la vicenda di Giobbe, ma si espande  anche nel tempo e nello spazio, ripercorrendo e analizzando in campo storico, filosofico, teologico, letterario alcuni fatti estremamente drammatici, tragici, umanamente incomprensibili,  in cui dolore e sofferenza, individuali o collettivi,  diventano oggetto di ricerca di significato, di grido. Ci si trova così di fronte a immagini che ci mostrano “i Giobbe” di oggi, siano essi migranti, uomini o bambini in mezzo alle macerie della guerra, o gente che, circondata dal buio più profondo, cerca uno spiraglio di luce. Siamo messi di fronte a eventi tragici come il terremoto di Lisbona del 1755 fino a giungere ad Auschwitz, quando il male dell’uomo diventa domanda sull’esistenza stessa di Dio. Vediamo come alcuni uomini, a partire dal 1700, si sono posti di fronte al problema del dolore, del male ergendosi di volta in volta a difensori o accusatori di Dio;  giudici o consolatori di chi soffre; gente che nella prova rinfranca la propria fede o diventa atea. Siamo chiamati a confrontarci con loro, a prendere posizione. Si ascoltano le ragioni di Leibniz, Voltaire, Kant, Rousseau, Chesterton, Kierkegaard,  Lewis, Claudel, Zambrano, Giussani, Carron….fino ad arrivare a Papa Benedetto e  a papa Francesco Si incontrano i personaggi dei romanzi di Dostoevskij, Camus, Kafka….. Ci si immedesima con l’esperienza di Primo Levi, Elie Wiesel, Etty Illesum….Si è richiamati alla vita di alcuni testimoni nella fede: don Gnocchi, Padre Kolbe, Madre Teresa, don Giussani, don Paolo Bargiggia, Mario Melazzini. Soprattutto si è accompagnati a riconoscere la risposta di Dio al grido di Giobbe che è diventato quello di ogni uomo sofferente: non una spiegazione, ma una presenza: Gesù di Nazareth, la provocazione dell’Incarnazione.  Come sottolinea Carbajosa: “In Gesù coincidono Dio che si fa vicino e l’uomo che soffre, anzi, che raccoglie in sé tutta la sofferenza dell’umanità. In Gesù, nella sofferenza della Sua passione e morte, rivive il dialogo fra l’uomo e Dio, tra Giobbe e Dio.”

Desidero a questo punto condividere alcune riflessioni che sono sorte in me dopo che, in qualità di guida,  ho visto e rivisto la mostra. Ogni volta è stato ri-immedesimarmi in Giobbe e ripercorrere il suo cammino alla luce della memoria. È stato anche trovarmi con tanti compagni di cammino, cercatori di senso per la propria vita. Mi limito a raccontare due episodi.

Antonella (nome di fantasia) è stata mia collega anni fa a scuola. Provenivamo da storie e posizioni differenti: lei comunista e io cattolica convinta. Ci ha sempre legato una stima reciproca che è diventata nel tempo amicizia, un’amicizia che si è rinverdita in quest’ultimo anno complice anche whatsapp. Quasi ogni mattina condivido  sul mio stato qualcosa che mi ha colpito e che mi aiuta ad iniziare la giornata: una preghiera, una poesia, un articolo di giornale, un anniversario, un quadro, un fatto…..non c’è nulla di predeterminato. Antonella commenta ogni giorno, ringrazia, mi testimonia un percorso che l’ha riavvicinata alla fede. Ha accettato con entusiasmo il mio invito di vedere insieme  la mostra, è venuta con la sorella e un’amica. Aveva studiato Giobbe con la diligenza della prof. scrupolosa. Ha seguito con attenzione, intervenendo più volte. Alla fine ha ringraziato con calore e poi… l’altro ieri, con l’aggravarsi della situazione COVID mi ha scritto questo messaggio: “ Ho pensato tanto alla mostra e alle tue spiegazioni. Ieri, desolata per le notizie COVID, ho dovuto ricorrere a Giobbe per non lasciarmi andare allo sconforto”.

Rosa (nome di fantasia)è stata ospite qui a Bresso  alla Domus Dei – casa di accoglienza per malati o parenti di malati che vengono a curarsi a Milano. Me la sono ritrovata un sabato sera insieme a un gruppetto di mie amiche. Una di loro l’aveva invitata a partecipare. Mi dice subito che di Giobbe sa solo che è proverbiale per la sua pazienza. Segue con attenzione, ma mi rendo conto che i racconti del Vangelo a cui ci si riferisce le sono in gran parte sconosciuti. Alla fine ha voluto fermarsi per raccontarmi la sua storia di sofferenza. Malata oncologica, era venuta a Milano per sottoporsi a un trattamento sperimentale, ma proprio pochi giorni prima i medici le avevano detto che l’esito era stato negativo e che bisognava ritornare alla chemioterapia tradizionale, con incerte possibilità di successo. Mi dice subito che per lei Giobbe è stato un incontro che l’ha aiuta a leggere in modo diverso la sua malattia. In seguito vengo a sapere che subito dopo si è recata a pregare nella chiesa lì vicino (non ci era mai andata durante il suo soggiorno a Bresso!). Si stava celebrando la Messa, ha  ricevuto la santa Comunione. Non si era confessata ma mi piace pensare che quel Gesù che ha consolato la vedova di Naim, le si è fatto incontro, ha pianto con lei e le ha detto “Donna non piangere.”  Ci sarà poi il tempo per la confessione! Nel frattempo è tornata a casa sua, a Caserta. Ci siamo risentite con la promessa di restare in contatto. Le ho  assicurato la mia preghiera.

Termino con un particolare che mi riguarda personalmente. Nel presentare la mostra mi trovavo un po’ impacciata quando arrivavo al punto in cui Dio scende in campo e anziché rispondere al grido di Giobbe gli fa scorrere davanti agli occhi tutta l’imponenza del creato. Mi erano chiari i passaggi: la positività del reale, tutto è un dono che rimanda a un Tu…… ma si imponeva una domanda: “Nel momento della prova più dura, quando il dolore non ti lascia respirare,  può bastare guardare un bel paesaggio e pensare che è stato creato per amore?”

Ed ecco la sorpresa di un giorno in cui, ripercorrendo la mostra per l’ennesima volta, gli occhi si sono soffermati sulle prime parole che Dio dice a Giobbe: “CHI È MAI COSTUI CHE OSCURA IL MIO PIANO CON DISCORSI DA IGNORANTE? CINGITI I FIANCHI COME UN PRODE……”  Ecco il punto! – mi sono detta . – Tu Signore hai un piano sulla mia vita. E se guardo nella memoria mi accorgo che è vero. In tutte le prove, pur dolorose, Tu eri con me e nel tempo il Tuo piano mi si è svelato in tutta la sua bellezza.”

 È per questo che faccio mie le parole di Giobbe: “CAPISCO CHE TU PUOI TUTTO E CHE NESSUN PROGETTO PER TE È IMPOSSIBILE. CHI È COLUI CHE DA IGNORANTE PUÒ OSCURARE IL TUO PIANO?….IO TI CONOSCEVO SOLO PER SENTITO DIRE, MA ORA I MIEI OCCHI TI HANNO VEDUTO. PERCIÒ MI RICREDO E MI SENTO CONSOLATA SOPRA POLVERE E CENERE”

Carla Oriani Mazzola

Autore dell'articolo: Staff